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Comunicazioni agli iscritti

Via Napo Torriani, 29: informazioni ed alcune riflessioni - Luciano Bosotti

Con la fine del mese di ottobre 2011, l'Ordine lascia la sede di via Donizetti per trasferirsi nella nuova sede di via Napo Torriani.

L'esigenza di disporre di una nuova sede era già stata avvertita dal precedente Consiglio: chiunque sia stato nella sede di via Donizetti sa che, varcata la porta, ci si trovava in un locale di ingresso occupato dalla signora Aurora Zacchetti, da cui si poteva accedere ad un altro ufficio, occupato dal dottor Cotti, con una stanza destinata alle sedute del consiglio. Per ospitare un numero maggiore di persone (ad esempio per ospitare i lavori della commissione degli esami di ammissione all'Ordine) risultava spesso necessario farsi ospitare presso lo studio di un collega, oppure affittare un locale, con i relativi oneri. Il tutto con possibilità di crescita (ad esempio con l’acquisizione di nuovo personale di segreteria) praticamente nulle e l’impossibilità di ricevere delegazioni di organismi esteri ed internazionali dando una certa immagine del nostro Ordine.
 La ricerca di una nuova sede è andata avanti alcuni mesi, ed ancora una volta dobbiamo essere riconoscenti alla segreteria, in particolare al dottor Cotti, che si è fatto carico in via principale di quest'attività. Grazie ad una segnalazione di Marina Mauro (ad anche a lei va il nostro ringraziamento) si è infine individuata la disponibilità dei locali di via Napo Torriani che, sin dall'inizio, sono parsi offrire almeno tre vantaggi:
- facile accessibilità, anche per chi viene da fuori Milano: la nuova sede si affaccia sul piazzale della Stazione Centrale ed è raggiungibile direttamente dalla stazione tramite i sottopassaggi;
- l'immobile, anni 60, è apparso in buone condizioni di manutenzione, tali da non richiedere interventi di ripristino ingenti; si tratta di un immobile di buon livello e la collocazione al settimo piano, con una vista panoramica sulla città, rende la frequentazione e la permanenza nei nuovi uffici decisamente gradevoli;
- la congiuntura economica permetteva la locazione ad un canone di affitto verificato essere decisamente più basso di quello di mercato nella stessa zona, con la conseguente possibilità di assorbire negli anni i costi del trasferimento e della ristrutturazione; la proprietà è di un privato sottoposto a tutela per motivi di salute, fatto che ha condotto ad un negoziato con un avvocato fungente da tutore, con margini di movimento di necessità contenuti.
Così come si può vedere dal rendering riprodotto qui di seguito allegato (che a dire il vero non riflette appieno le scelte finali in termini di arredamento)


la nuova sede dispone di:
- un primo locale di segreteria, occupato dal Dottor Zanella,
- un secondo locale di segreteria, occupato dalla Signora Aurora Zacchetti e verosimilmente destinato ad ospitare in futuro anche una nuova persona della segreteria,
- un locale di archivio, utilizzabile anche come ufficio temporaneo,
- un locale server,
- una sala riunioni in grado di ospitare, oltre alle sedute del Consiglio, incontri con una partecipazione di circa 40 persone.
Oltre ai normali lavori di pulizia e ritinteggiatura, i lavori intrapresi hanno comportato:
- la sostituzione degli idrosanitari dei due servizi (la proposta iniziale di rinnovare completamente questi locali è stata abbandonata in quanto i relativi oneri non sono parsi giustificati da un'effettiva necessità),
- l'installazione di un impianto di condizionamento (scelta praticamente obbligata in quanto, veduta l’esposizione e l'ampia vetratura, l'effetto serra è molto marcato, non solo nel pieno dell'estate), 
- gli incombenti legati all'insediamento di un'attività con accesso di pubblico (misure di sicurezza varie, installazione di barre anticaduta nelle aperture vetrate da cielo a terra, ecc…).
Il previsto trasferimento ha poi fatto emergere come non più rinviabile l'installazione di attrezzature di comunicazione ed informatiche aggiornate (le attrezzature di via Donizetti erano ormai piuttosto vecchie e soggette a continui malfunzionamenti, tali da obbligare la segreteria a distogliere di frequente l’impegno dal lavoro per svolgere interventi di ripristino) e potenziate (attività come, ad esempio, la gestione del nuovo sito e la prevista gestione dell'albo dei tirocinanti richiedono di disporre di un’infrastruttura informatica in grado di detenere i dati in modo sicuro).
Questo ha fatto sì gli oneri da affrontare si siano dimostrati più elevati di quanto originariamente atteso, il che ci ha portato ad attingere in misura maggiore di quanto preventivato al "salvadanaio" delle riserve di bilancio.
Un resoconto consuntivo dettagliato sarà fornito in occasione della prossima assemblea annuale.
 Nel seguire con i Colleghi del Consiglio il trasferimento della sede, l’istintiva ritrosia alle spese dettata dalla mia mentalità subalpina mi ha portato più volte a pormi due domande di fondo.
Si poteva spendere di meno?
Ne valeva davvero la pena?
La risposta alla prima domanda è sì. Questo non tanto perché le singole voci di spesa si sarebbero forse potute ulteriormente limare (riteniamo di esserci mossi in modo oculato, evitando nel contempo di fare economie troppo miopi), quanto piuttosto perché l'esperienza del trasferimento della sede suggerisce una riflessione applicabile a tutte le attività che vorremo intraprendere in futuro.
La riflessione è questa.
Per seguire qualunque lavoro, come ad esempio il trasferimento di sede, ci vuole disponibilità di tempo: si devono effettuare sopralluoghi, chiedere offerte, negoziarle, decidere che cosa fare, seguire i lavori, ecc.: alcuni dei consiglieri (e, senza far torto ad alcuno, vorrei menzionare soprattutto Antonio Robbiani) hanno dedicato giorni interi a queste attività.
Resta il fatto che tutti noi svolgiamo un'attività professionale, anche piuttosto intensa e, come si suol dire, la giornata ha solo 24 ore, per cui avremmo dovuto necessariamente pagare qualcuno per svolgere capillarmente un’attività di ricerca e controllo di più offerte, per valutare di volta in volta il rapporto costi/benefici, ecc.. ed alla fine la spesa per un tale intervento ed i tempi in ogni caso richiesti per prendere le decisioni del caso avrebbero di fatto annullato ogni possibile effettivo risparmio complessivo rispetto al lavoro svolto dai volontari del Consiglio.
Di conseguenza, per qualunque attività vorremo intraprendere in futuro (ad esempio nel settore della formazione), dovremo pensare di poter contare sul coinvolgimento di un numero di iscritti disponibili ad offrire le loro capacità ed il loro tempo per seguire queste iniziative: la buona volontà dei 10 consiglieri non è sufficiente. 
Alla seconda domanda, ossia se ne valesse davvero la pena, sarei portato a dare una risposta positiva, ma non definitiva ossia: "Dipende; e in particolare dipende da noi".
Senza anticipare temi forse più adatti ad essere discussi nella prossima assemblea annuale (che si vorrebbe poter dedicare al tema generale del futuro della nostra professione), mi pare che professioni come la nostra si trovino oggi di fronte a due dati di fondo:
- un generale attacco al mondo delle professioni,
- il ristagno (per usare forse un eufemismo) delle attività di impresa a livello nazionale, cui fa riscontro la crescita impetuosa delle nuove economie (soprattutto quella cinese e non solo quella), anche nel settore della proprietà industriale.
Il primo fattore si nutre:
- da un lato, di motivazioni oggettive (è fuori di dubbio alcune professioni - non la nostra - hanno ordinamenti ormai in larga misura anacronistici; ma forse si tratta di anacronismi superabili, evitando, così come si dice, di buttare via il bambino con l'acqua sporca), e
- dall'altro lato, di una vena (di populismo, così come qualcuno l’ha voluta chiamare, mi pare in modo centrato) ormai imperante da decenni: è la tendenza che porta l'uomo della strada - pensiamo a tante trasmissioni televisive - a considerarsi depositario non solo della capacità di guidare la nazionale di calcio, ma della capacità di fare in pratica qualunque cosa. Questo senza considerazione e rispetto alcuno per chi, a cercare di imparare come si fa una determinata attività, ha dedicato e dedica buona parte della sua vita: sicché chiunque afferma di saper fare una cosa (soprattutto se a basso prezzo, e magari in nero) è subito riconosciuto come un grande esperto in materia.
Ancora, come professione protetta, la nostra professione non può contare su un grande numero di iscritti: siamo poco più di un migliaio e svolgiamo una professione praticamente sconosciuta. Non abbiamo quindi un peso elettoralistico rilevante, né la possibilità di condizionare in modo immediatamente percepibile alcuna attività vitale del Paese.
Dunque, anche se verosimilmente non si andrà alla soppressione degli ordini professionali (le più recenti iniziative legislative al riguardo sembrano molto più ragionevoli di quelle che avevano trovato larga eco sui mezzi di comunicazione nei mesi scorsi), il nostro futuro è inevitabilmente legato al fatto di passare dall'essere una professione protetta all’essere una professione rispettata, in grado di fornire servizi non forniti da altri.
La via per cercare di perseguire questo scopo non può che essere una: quella della qualificazione professionale a tutti i livelli, dalla formazione iniziale in vista dell'ammissione all'Ordine, ai livelli successivi di svolgimento della professione, in particolare per quanto riguarda il continuo aggiornamento degli iscritti in merito a qualunque aspetto inerente allo svolgimento della nostra attività professionale.
Questo vale anche in relazione alla concorrenza che molti Colleghi si trovano a patire, spesso in condizioni molto subdole ed in situazioni nelle quali non è possibile invocare i meccanismi di protezione esistenti (e che verosimilmente saranno attenuati in futuro).
Il vantaggio competitivo che dovremo dare sempre di più al nostro iscritto è dunque quello di disporre - nel modo quanto più rapido e completo possibile - di informazioni e di strumenti di lavoro che gli altri non possono avere. 
Questa considerazione si collega al secondo aspetto richiamato sopra.
Solo per fare un esempio: nel 2010 sono stati depositati in Cina più di 1 milione di brevetti (di invenzione ed assimilabili), con un fattore di crescita annuale pari a circa il 25% annuo. Questa tendenza pare destinata a continuare nonostante la congiuntura economica sfavorevole, che sinora ha toccato marginalmente l'economia cinese e altre economie in crescita.
È ragionevole pensare che un numero così elevato di depositi, in massima parte di soggetti cinesi, troverà in breve tempo riscontro in un corrispondente numero di domande di protezione in ambito europeo: all'ultima riunione del SACEPO, il Presidente dell’UEB, Battistelli, ha indicato di attendersi che nel giro di pochi anni che il numero delle domande di brevetto europeo raggiunga 500.000 unità, con la Cina che diventa il primo depositante in assoluto.
Forse oggi i discorsi nazionalistici non sono più tanto di moda. Però chiediamoci: vogliamo proprio che tutta questa massa ingente di lavoro - ho fatto l’esempio dei brevetti e della Cina, ma ci sono anche i marchi e le altre economie crescenti - sia appannaggio dei nostri colleghi stranieri?
Non possiamo fare noi anche la nostra parte?
Io penso di sì: possiamo fare la nostra parte, senza accontentarci solo delle briciole e senza doverci limitare a subire le vicende che portano di frequente imprese nazionali ad essere assorbite da soggetti stranieri, per cui il lavoro se ne va all’estero.
L’esperienza di molti di noi indica che molto spesso i soggetti stranieri, quando hanno modo di conoscere come lavoriamo, si dimostrano (favorevolmente) stupiti. Ti trovi l'esaminatore o il membro del Board of Appeal che ti chiede alla fine di un'udienza: "Ah, ma lei è italiano?" (che è un po' un complimento alla menta glaciale). Poi c’é il passaparola favorevole (che nel nostro settore è il miglior strumento promozionale), di coloro che dicono: "Ma 'sti italiani non sono niente male, come lavorano; e hanno anche dei costi inferiori rispetto agli altri". Ci sono anzi casi in cui l’acquisizione di un cliente nazionale da parte di un soggetto straniero porta non solo a non perdere il lavoro per il cliente nazionale, ma ad acquisire anche lavoro nuovo da parte di chi lo ha acquisito.   
Per poterci muovere in questa direzione dobbiamo farci conoscere in Italia e all’estero; per fare questo, non è sufficiente farsi conoscere solo come individui o come singoli studi professionali: è importante farsi conoscere anche come sistema.
Farci conoscere come sistema significa organizzare eventi di sistema, ad esempio per poter ricevere come Ordine, ossia come organizzazione rappresentativa di tutti gli iscritti, delegazioni di associazioni o organizzazioni professionali e d’impresa che vogliano informarsi e discutere sulle procedure di protezione e sui risultati ottenibili.
Per fare questo abbiamo bisogno di una sede adeguata, che presenti in modo dignitoso il nostro sistema.
Per poterci presentare, come sistema, in modo competitivo dobbiamo dimostrare che, come sistema, curiamo la nostra formazione ed informazione.
Qui le possibilità sono davvero infinite.
Solo per citare alcuni esempi, possiamo andare dai corsi di alfabetizzazione in materia di IP a beneficio delle aziende e degli operatori oppure delle persone che abbiamo appena reclutato nei nostri studi ed uffici (con una ottimizzazione in termini di costi e risorse, in quanto una sola persona può insegnare simultaneamente a tante persone), all'organizzazione di eventi formativi di cui al momento non disponiamo (dunque non solo dei mock trial - qualcosa è già stato fatto a riguardo - ma anche alla simulazione delle udienze orali in sede di opposizione e di appello di fronte all'Ufficio Europeo), potendosi eventualmente adottare a livello nazionale la soluzione di disseminazione del tipo “train the trainers”, così come adottata dall’UEB per l’EPC 2000.
Queste iniziative (e tante altre ci potranno venire in mente) possono essere attuabili utilizzando la nuova sede.
Che i quattrini dedicati ad attrezzare la nuova sede siano stati ben spesi dipende dunque soprattutto da noi, dall'uso che sapremo farne.

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